Marco Boato - attività politica e istituzionale | ||||||||||||||||
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Per chi, come chi scrive, è arrivato da Venezia a Trento nell’autunno 1963 per iscriversi a Sociologia (allora Istituto universitario di Scienze sociali, fondato nel 1962 dall’Istituto Trentino di Cultura – ITC – promosso dal Presidente della Provincia autonoma di Trento Bruno Kessler, poi denominato Istituto superiore di Scienze sociali in forza del riconoscimento legislativo in Parlamento del giugno 1966), il Museo trentino del Risorgimento e della lotta per la libertà (così rinominato dal 1945, dopo la fine della seconda Guerra mondiale e della lotta di Resistenza contro il nazi-fascismo) costituiva una realtà istituzionale ancora totalmente sconosciuta. Il Castello del Buonconsiglio, che ne era la sede, venne ben presto da me identificato soprattutto come il luogo dove Cesare Battisti era stato imprigionato, condannato dal Tribunale militare dell’Impero austro-ungarico e subito sottoposto alla impiccagione da parte di un boia fatto tempestivamente arrivare da Vienna per la tragica occorrenza. Avendo ben presto imparato a conoscere sua figlia, Livia Battisti, di cui nel corso degli anni divenni amico ed estimatore, questo era l’aspetto storico che più, in quei primi anni di permanenza da studente universitario a Trento, mi aveva colpito. Ma poi, col passare degli anni, ebbi anche occasione di conoscere, sia pure in modo meno approfondito, anche la persona di Bice Rizzi, che della storia di quel Museo e di quel Castello era stata e continuava ad essere allora una protagonista di enorme rilievo e che incuteva ammirazione e rispetto, insieme ad altri protagonisti di quell’epoca. Bice Rizzi visse con sofferenza la contestazione studentesca (ma anche dell’avvocato Sandro Canestrini) del 3 novembre 1968, in occasione della visita del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Del resto anche Livia Battisti, all’epoca consigliera comunale a Trento, aveva avuto pesanti obiezioni rispetto alla destinazione dei consistenti fondi destinati dallo Stato a Trento in occasione del cinquantesimo anniversario della fine della prima guerra mondiale. Con Livia Battisti ebbi molte occasioni di incontro ed anche di collaborazione politica negli anni della nascita e dello sviluppo del Movimento studentesco di Sociologia, col quale lei stessa ebbe diverse occasioni di interloquire positivamente, al pari dell’avvocato Sandro Canestrini, fin dalle prime manifestazioni antifasciste, in occasione delle provocatorie celebrazioni neo-fasciste nella chiesa (o badia) di San Lorenzo proprio nella data del 25 aprile, la festa della Liberazione. Ci sono varie foto storiche che ritraggono lei, Sandro Canestrini e anche, tra gli altri, lo studente Paolo Sorbi (“antifascista fiorentino”, si dichiarò orgogliosamente ai poliziotti che lo fermarono in quella circostanza a due passi da San Lorenzo), mentre contestano i neo-fascisti all’uscita dalla chiesa. In qualche occasione Livia Battisti mi diede anche delle copie dattiloscritte di qualche testo di suo padre, che riteneva potesse essere utile al nascente Movimento studentesco. E, nel corso degli anni, facemmo anche qualche comizio di piazza assieme in quel periodo “incandescente”. Quando nell’estate 1978 Livia Battisti si ammalò e fu ricoverata a Villa Bianca a Trento, io contattai l’allora neo-eletto Presidente della Repubblica, Sandro Pertini (col quale avevo avuto un rapporto di amicizia ancora quand’era Presidente della Camera dei deputati e poi più volte al Quirinale ed anche durante le sue ferie estive in Val Gardena), sapendolo in vacanza appunto in Val Gardena, gli proposi di trovare il modo di rendere visita a Livia Battisti, lui socialista, anche in memoria del socialista Cesare Battisti. Il Presidente Pertini mi rispose che senz’altro avrebbe fatto sosta a Trento, in occasione del suo rientro a Roma, per visitarla. Purtroppo lei morì il 9 settembre 1978 e Pertini arrivò il giorno dopo a Trento a rendere onore alla sua salma. Il pregevole saggio di Vincenzo Calì in occasione del centenario del Museo, di cui era stato direttore per quasi vent’anni (dal 1985 al 2003), mi ha consentito di ripercorrerne puntualmente la storia, talora anche assai travagliata, con grande interesse. Dalla sua fondazione nel 1923 (nel primo anno del fascismo) come “Museo trentino del Risorgimento”, come era stato auspicato da Cesare Battisti e altri fin dall’inizio del secolo, fino alla sua opportuna ridenominazione, già citata, in “Museo del Risorgimento e della lotta per la libertà” nel 1945, per finalizzarlo anche alla memoria storica della Resistenza, appena conclusasi con la fine della seconda guerra mondiale. E fu proprio sotto la direzione di Vincenzo Calì che, a partire dal 1994-95, il Museo assunse non solo una nuova denominazione, ma anche una nuova funzione in rapporto alle vicende storiche nella dimensione non più solo trentina, ma regionale: “Con la quietanza liberatoria rilasciata nel 1992 dall’Austria dinanzi all’ONU e la chiusura della controversia altoatesina, si crearono le condizioni per un salto di qualità, mentre con il cambio, nel 1995, del nome da Museo del Risorgimento e della lotta per la libertà in Museo storico in Trento si poté avviare un progetto di storia del Trentino-Alto Adige/Südtirol nel Novecento condiviso con gli storici altoatesini, si potenziarono le collaborazioni scientifiche con l’Università e con la rete degli Istituti storici della resistenza, si allestirono mostre sull’intero territorio provinciale.” Così Vincenzo Calì ha riassunto questo processo di trasformazione assai positivo, di cui fu egli stesso diretto protagonista. A seguito dell’omicidio mafioso di Mauro Rostagno - che era stato protagonista del Movimento studentesco trentino negli anni ’60 del secolo scorso e soprattutto nel ’68, omicidio avvenuto il 26 settembre 1988 a Lenzi di Valderice a Trapani (l’ultima volta della sua venuta a Trento era stato nel precedente febbraio, in occasione del ventennale del ’68 a Sociologia) - Vincenzo Calì aveva deciso di istituire, presso il Museo storico, un “Centro di documentazione Mauro Rostagno”, nel quale raccogliere da parte di molti dei protagonisti di allora una ampia documentazione sui movimenti collettivi, operai e studenteschi e non solo. Quindi, dopo la decisione nel 1945 di essere il luogo della memoria storica anche della Resistenza e della lotta per la liberazione dal nazi-fascismo, a partire dal 1988 il Museo storico è diventato un punto di riferimento essenziale anche per la raccolta dei materiali (documentari e fotografici, a partire dalle bellissime foto dell’allora studente Paolo Padova, lì depositate) dei movimenti collettivi degli anni ’60 e ’70, ma anche oltre, del Novecento, oltreché dell’Archivio Battisti, donato da Livia Battisti e organizzato dallo stesso Calì nella sua fase iniziale di collaborazione col Museo, a cui è seguita la sua lunga direzione. Tutto questo, insieme alla “Officina dell’Autonomia”, che è stata costituita in una sede distaccata, dopo l’ultima trasformazione, nel 2008, in “Fondazione Museo storico del Trentino”, ha pienamente rivitalizzato le funzioni del Museo, come luogo di documentazione e ricerca, ma anche di pubblicazioni e dibattiti pubblici, con la regia dell’attuale direttore Giuseppe Ferrandi e la presidenza di Giorgio Postal. L’originario “Museo trentino del Risorgimento”, lungo un intero secolo di storia, sia pure anche attraverso vicende travagliate e situazioni all’epoca conflittuali, ha saputo rigenerarsi e rinnovarsi più volte, dando quindi una dimostrazione di grande vitalità, di cui sono stati promotori tutti coloro che, via via, hanno assunto ruoli di responsabilità e di feconda collaborazione, con un positivo rapporto con la situazione provinciale e regionale, e guardando ormai sempre più anche “oltre i confini”, come avrebbe detto Alexander Langer.
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MARCO BOATO |
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